mercoledì 30 novembre 2016

Uomini che fanno pompini

C'è qualcosa, nell'immagine di un uomo che succhia il cazzo ad un altro uomo, che ha un significato così forte, così viscerale da evocare demoni impossibili da ignorare.

Enormi, spaventosi spettri che cinque millenni di patriarcato maschilista hanno sia generato che strozzato con tutte le loro forze nel tentativo di esorcizzarli (di fatto, quindi, ingigantendoli). Immagine  al cui cospetto, di colpo, il suddetto, si sveglia artigliato in pieno volto. Rivive lo storico, pericolosissimo flirt col nemico del "costruirsi una fortezza invalicabile affinché violarla (o farsela violare) possa provocare il rapimento supremo. Si, suona cervellotico, ma credetemi questo racchiude il significato ultimo e il motore di queste dinamiche spettacolari, mia croce e delizia da quando ne ho memoria. In realtà non me ne frega un cazzo di studiarle come un manuale: le vorrei solo capire per padroneggiarle appieno a mio sporco, vergognosissimo vantaggio, anche se ho capito col tempo che questo è appannaggio solo di pochi prescelti dèi in terra. Spesso sono inconsce, pura seduzione: quando le capisci non hai la possibilità di praticarle, e viceversa.

Ricordo che avvertivo il potere di quest'immagine già da molto prima che io potessi vederla o immaginarla in qualsiasi forma (pornografia, cinema, realtà, racconti di amici più grandi), figuriamoci praticarla. Acquattato in un angolino defilato della mia mente già sentivo l'aura e i passi ingombranti di questo assurdo mostro che si aggirava nelle tenebre. E sentivo l'impulso di doverlo soddisfare in qualche modo, come un prurito enorme, qualcosa di sconnesso ma irrefrenabile (ancora neanche sapevo dell'esistenza della masturbazione) e spesso cercavo di assecondarlo inventandomi pratiche assurde, pur di sentire un briciolo di trasgressione e fare qualcosa... tipo pisciarmi sulle mani quando andavo in bagno, oppure strappavo un foglio di carta da un quaderno, mi sedevo sul cesso e me lo mettevo tra le cosce e ci pisciavo sopra (sentendo delle vampate di calore e una strana turpitudine, salvo poi ritrovarmi totalmente stranito subito dopo, buttare con disprezzo il foglio nella tazza e tirare lo sciacquone pensando "ma cosa cazzo ho fatto?". Crescendo, e capendo, la situazione è andata complicandosi (ma questo è un altro paio di maniche).

La civiltà, dicevamo. L'esempio più vicino a noi, per quanto indietro nel tempo, a me sembra proprio la Roma Imperiale di cui volenti o nolenti ci trasciniamo DNA e strascichi sociali abbastanza malcelati. Beh bontà loro, almeno hanno gettato le basi del bsdm (quando si dice il Diritto Romano):


"L'omosessualità non era condannata se praticata con schiavi e liberti (in quanto era dovere di questi compiacere in tutto e per tutto le volontà del loro padrone), ma era deprecabile che un cittadino libero assumesse un ruolo passivo verso un'altro suo pari. La Lex Scatinia diceva che in caso di omosessualità tra due cittadini liberi, veniva punito quello che tra i due assumeva l'atteggiamento passivo."


Passivi, vergogna! La storia non v'ha mai perdonato. E tutt'ora non sembra averne intenzione. Per non parlare delle punizioni inflitte in caso di tradimento:


"Gli amanti colti in flagrante vengono puniti assecondando le più turpi fantasie dei mariti cornificati. E l’elenco è assai bizzarro, si sa di diverse forme di tortura inenarrabili [...] le pene più usuali sono comunque l’evirazione, la sodomizzazione e, strano a dirsi, la pratica punitiva della fellatio considerato l’atto più aberrante che si possa infliggere a un cittadino romano [e mi ci gioco le palle: anche il miglior sadicissimo orgasmo che si possa sognare il cornificato romano. Quasi un pretesto legalizzato]."

In Grecia, se possibile, le cose erano ancora più incasinate:

"Verso la fine del VI secolo, periodo in cui i simposi erano diventati un costume radicato, scene di fellatio, cunnilingus e orge cominciano ad apparire per la prima volta sui kylikes (le coppe principali, usate in quelle occasioni). Che questo genere di illustrazioni siano riferite ai simposi è deducibile da particolari quali le corone di fiori sul capo degli uomini, i flauti e le nacchere tenuti dalle etere, triclini, ecc, e ciò indica che tale condotta era accettata solo nel contesto dei simposi. Il cunnilingus era ritenuto comunque una pratica impropria (come indica anche Aristofane in alcuni suoi passi: Pace, 884-5 e Vespe 1180-83), in quanto era sminuente per un uomo dare piacere a una donna senza trarne a propria volta. E nel caso della fellatio, in cui è la donna a dare piacere, l’uomo di fatto resta passivo essendo la donna a svolgere la parte attiva, ed essere passivo era inaccettabile per un uomo. Per bilanciare la passività dell’uomo, l’artista rappresenta sempre le donne inginocchiate, in una posizione di sottomissione [in modo che risultasse l'uomo a irrumare la donna, N.d.R.] e con i tratti del viso alterati. E’ interessante notare come la più diffusa posizione del missionario non si trovi raffigurata da nessuna parte, ma di solito si vedano donne piegate in avanti, inginocchiate, sdraiate sulla schiena con i piedi appoggiati sulle spalle dell’uomo: quest’ultima posizione ha il vantaggio di offrire una buona visuale dei genitali maschili (come da intenzione dell’artista)." [quindi: obiettivo esaltazione dei genitali maschili come simbolo di virtù e forza, fonte di vitalità - ma per l'uomo stesso è 'inaccettabile' fruirne. E perfino 'subire passivamente' un lavoro di bocca è così disdicevole da doverlo camuffare in una penetrazione orale attiva. Awkward.]

E poi ci sono i riti tribali. 

Un caso particolarmente curioso di processo iniziatico di mascolinizzazione giunge dai Sambia della Nuova Guinea, presso i quali si pratica un rito di passaggio all'età adulta culminante nella fellatio omosessuale fra il neofita e un anziano. I Sambia ritengono che lo status virile non sia insito naturalmente nel carattere del ragazzo ma che occorra introdurlo artificialmente per mezzo di azioni rituali. I giovani Sambia devono adeguarsi all'ideale maschile del gruppo, caratterizzato dalla tenacia, dalla resistenza al dolore, dalla forza fisica e dal coraggio: in questo quadro va inserito l'atto omoerotico cui è costretto il giovane iniziato, che non viene considerato un agire genuinamente omosessuale in quanto il neofita non è ancora un vero uomo e quindi non può trattarsi di una relazione fra maschi adulti [...magari non è un agire 'genuino' anche perché il povero giovane preferirebbe altri modi per accaparrarsi la mascolinità?]. La centralità dell'atto omosessuale nel processo di costruzione di veri uomini si spiega attraverso la concezione fisiologica di ciò che è maschile per i Sambia: per essi solo la femminilità è un dato biologico mentre la mascolinità dev'essere acquisita, o meglio trasmessa, in quanto ogni essere umano ha un organo di maturazione sessuale chiamato tingu. Nella donna tale organo è forte e matura autonomamente, nell'uomo è debole e inattivo e ha bisogno di sperma per crescere. La fellatio rituale quindi è una vera e propria "inseminazione" della mascolinità: i ragazzi, ingerendo sperma (l'essenza della mascolinità), stimolano i propri corpi a mascolinizzarsi. Nonostante sia in Occidente che in Nuova Guinea l'ideale maschile appare connesso ad un corpo forte e resistente, i mezzi per modellarlo sono talmente diversi che, nel mondo mediterraneo del 'machismo' e dell'onore, un'azione come la fellatio omosessuale è interpretata come il comportamento più distante che si possa immaginare dall'ideale di virilità (e qui ricasca l'asino).

Forse qualcuno avrà riconosciuto la dedica di questo blog al protagonista dell'omonimo romanzo di Giovanni Comisso: Cribol, un balordo mezzo buono mezzo furbastro (mix dialettale tra Crist'Diabòl) che ha si, moralmente pochi scrupoli, ma tutto sommato cerca solo di farsi un'esistenza dignitosa. Arrivato alla mezza età con ancora tutti suoi i pruriti (più che etero)sessuali, comincia a soddisfarli con crescente fatica a causa di un'impotenza incipiente. Impotenza cui trova una cura nientemeno che... praticando sesso orale a giovani uomini (in gruppo) al culmine della loro carica sessuale per ingerirne lo sperma, indispensabile a rinvigorire la sua. Posologia: the more, the better (spoiler: a rovinare tutto, stranamente è l'intervento della Chiesa).

Quando per puro caso ho letto un accenno a questo libro in un trafiletto del Fatto Quotidiano mi s'è staccata la mascella. Sono letteralmente impazzito, l'ho cercato fino allo strenuo (era effettivamente introvabile, pare non sia mai più stato ripubblicato dopo la seconda edizione, a differenza dei suoi altri lavori, forse più "civili") e non ho avuto pace finché non l'ho risucchiato fino all'ultima pagina. Come  accaduto con "Chiamami col tuo nome" di Aciman: ho aspettato l'apertura della Feltrinelli di Torino il giorno dell'uscita italiana (ero ovviamente l'unico). Anche questo, libro non propriamente pudíco (per quanto molto romantico), ma niente di trascendentale - di testi così è pieno il mondo. Ciò che mi fatto uscire pazzo era l'idea che l'autore, André Aciman, sia etero. Un affermato professore accademico, eterosessuale ebreo-sefardita di origine egiziana con bellissima moglie e figli, potesse raccontare con dovizia di tutti i particolari che contano, la bruciante love story estiva tra due maschi, un adolescente della borghesia ligure e un giovane professore americano in vacanza ospite della famiglia. (Poi il fatto che fosse ambientato in Liguria è stata una ulteriore frustata emotiva non da poco, devo ammetterlo. Non come quella trasposizione penosa di film ambientata nelle campagne lombarde).

Continuiamo con la contemporaneità. Qui ci viene in aiuto Insegreto (ve lo consiglio tanto):


Mò se ne care 'o cielo e se ne saglie 'o pavimento. Degli etero che pagano un etero per farselo succhiare. Ok, va concesso il beneficio del dubbio che una delle parti non fosse così etero. Ma P.D. e la M.P, io che cazzo devo fare? Ah, che fine ha fatto la religione, a proposito? (Giusto per farvi scoprire l'acqua calda: io non chiederei soldi e ci metterei quel briciolo di passione in più).

E a tutti coloro che hanno voluto leggere fino qui, dico una cosa: se ne avete mai sentito la voglia, se guardando casualmente un compare seminudo negli spogliatoi o in spiaggia per una frazione di secondo v'ha sfiorato l'immagine pungendo forte... almeno una volta nella vita fatelo.

È senza dubbio l'esperienza più totalizzante che possa pervadere un uomo.

Poco fisica, non essendo doloroso e molto, molto meno impegnativo che prenderlo dietro, ma di un'intensità devastante. È tutto nella psiche. Certo, farsi scopare ci pone totalmente passivi (nonché violati), e se non si è più 'principianti' (cioè abbastanza allargati da non provare più dolore), si gode e pure tanto, ma per quanto sembri paradossale, non è minimamente paragonabile a quanto ti renda assoggettato, assuefatto, "fatalmente infilzato" essere chinati al cospetto dell'esemplare-alfa che vuole disporre della tua bocca, ciò da cui mangi, bevi, parli e respiri. Ciò che gli stai offrendo (o ciò che lui ti sta forzando) non è il culo. Etero, bisex o gay solo attivi che siate, con le dovute precauzioni, provate sulla vostra pelle la sensazione di una mano che vi spinge dietro la nuca e "v'accompagna" ad affondare tra due cosce pelose che vogliono spingervi in bocca lo stecco più controverso e affascinante della storia.

venerdì 16 gennaio 2015

Di nobili origini

Conoscete, almeno di fama, “la Morena” ?

Nonostante io ne abbia sentito parlare, inspiegabilmente, da quando ho memoria (benchè molto di rado) purtroppo ne so poco o niente, solo che è scomparsa da quasi quindici anni. Tutto il resto è solo per sentito dire, come capita per le persone che lasciano un segno (in questo caso che segnano un'epoca) e la fama oltre a precederle, le segue, regalando loro almeno qualche decade di immortalità. La Morena, classe 1938, era un travestito (o forse transessuale?) che batti e ribatti nei vicoli, nella Genova del Boom economico è riuscita a costruirsi un giro e un entourage decisamente di tutto rispetto (tanto da guadagnarsi l'epiteto di kapò dei trans, non da un signor nessuno ma dal più agguerrito dei commissari di Polizia dell'epoca). Risoluta, controversa ma d'animo generoso, è stata immortalata nella leggenda nientemeno che da Fabrizio De Andrè. Si, la graziosa di Via del Campo, occhi grandi color di foglia, era proprio lei. E lui, uno dei suoi clienti più appassionati.

Offriva ospitalità ai bisognosi che le chiedevano asilo, spesso giovani sbandati imberbi che sbarcavano dal meridione, dall'estero, dai sobborghi. Li accoglieva, ne aveva cura e dava loro un letto e un tetto, ma come direbbe lo stesso De Andrè, pur sempre puttana - pare che uno dei primi impieghi che potesse offrire, per forza di cose, fosse di esercitare insieme a lei. Romanzando un po' la leggenda, immagino che per i bei virgulti, quando non c'era la volontà o la stoffa per "esercitare", il minimo sindacale fosse almeno di ricambiare l'ospitalità giacendo con lei... (ma qui è puro mio cinema), comunque penso fosse arcinoto e ben chiaro a cosa sarebbe andato incontro chi bussava alla sua porta, vuoi da cliente, vuoi da rifugiato. Son passati di lì in molti, e ben pochi ci saranno finiti per caso. In tarda età, dopo aver "chiuso i battenti", ha acquistato un banco al mercato, forse l'altro possibile "mestiere più antico del mondo".

Un collega di mia madre, molto gay e molto genovese (anzi, l'archetipo: piglio da primadonna e accento marcato, mi ricordava tantissimo Aldo Busi in versione simpatica, occhialini inclusi) dopo qualche bicchiere di vino a pranzo s'è lasciato sfuggire qualche frase con tanti di quei puntini di sospensione ubriachi intorno che quasi mi son fischiate le orecchie. 

"Eh tuo padre quando era giovane... 
AAAAHHH boccaccia mia statti zitta!"

No, non era un apprezzamento (almeno, non credo. Anche da giovane non era affatto carino: un po' incinghialito e mezzo sdentato già ventenne - uno dei tanti motivi per cui scarto con disgusto le vecchie foto di famiglia che lo ritraevano - è approdato in una roboante Genova di fine anni 60 fuggendo dalle campagne napoletane e lavoricchiando poco e male nei peggio bar e ristoranti della città). 
Il "collega", resosi conto dell'irreparabile gaffe, ha cominciato  a minimizzare a più non posso e alle mie insistenti richieste di vuotare il sacco s'è limitato ad accennarmi della sua gioventù, dicendo che aveva già conosciuto mio padre come ospite della Morena. In pochi istanti, un groviglio di tasselli che nemmeno credevo di aver colto si sono perfettamente incastrati, e non finirò mai di stupirmi. A mio padre non ho mai chiesto nulla, un giorno forse lo farò (sperando di non fargli venire un colpo). Mi lascia comunque sbalordito che in qualche modo esista davvero una connessione Genova-Napoli per travestitismo e "vita", forse proprio in virtù della specularità delle due città come porti di mare, come dice l'articolo.

Mia madre, di famiglia siciliana traslocata prima in Belgio durante l'infanzia poi a Genova poco dopo, potrebbe essere il quadro perfetto di un bel sogno dal brusco risveglio. Figlia di proletari in pieno boom industriale, va subito a lavorare in fabbrica guadagnando non molto ma abbastanza per essere spensierata e sistemata, passa la gioventù guidando una Fiat 500 dietro l'altra. Ragazza bellissima, e non mi sto sbilanciando. Vacanze in Spagna con le amiche e perfino i flirt con i toreri, anche solo dalle fotografie trasudava una solarità, una serenità, una quiete d'animo che chissà se riuscirò mai a trovare anch'io. Giocava in una squadra di calcio femminile, e nemmeno malaccio (questo dovrebbe già farvi accendere qualche spia sul cruscotto). Quand'ero piccolo, durante le feste nelle infinite cene dai parenti ricordo quanto si divertiva, ubriachissima, a infilarsi in bagno con mia zia (moglie del fratello) quando andava a far pipí, con le scuse più stupide (tra femmine non ci si vergogna! Non si fa niente di male, ecc.), ma queste son scemate. È stato solo un paio di anni fa, quando sono definitivamente andato a vivere fuori casa e mi ha chiesto di lasciarle un pc e farle il profilo Facebook, che ho potuto toccare con mano un altro abisso insondato.

È difficile rendere l'idea, ha un bouquet di amiche totalmente sconosciute di ogni angolo del globo, la sua bacheca sembra tratta da un episodio saffico di Cinquanta Sfumature di Grigio. Donne sexy e seminude si contorcono un po' ovunque, sorridendo maliziose, con occhi chiusi sognanti e mandando baci oppure giocando con fruste e guinzagli, con commenti decisamente apprezzativi, spesso anche affettuosi, da parte di mammina. Il tutto intinto nella gioiosa ingenuità di qualcuno che non sa nulla di come funzioni Facebook, inconsapevole di come tutti vedano tutto. Incluso me. E suo fratello, e suo nipote, e sua cognata, e i suoi ex colleghi di lavoro. Ha voluto anche che le mettessi Skype, le videochiamate di Facebook e la webcam. Mani nei capelli.

Il mio episodio preferito, però, è quello della Gianna Nazionale.
Negli anni in cui mia mamma si teneva in forma, intorno ai 20/25, quando andando in Vespa con le sue amiche i vigili la seguivano in soprelevata e cadevano (quando me l'ha raccontato ho riso fino alle lacrime... una volta un vigile le si è affiancato in moto fissandole le gambe fino ad arrabbattarsi. Un vigile!) in uno di questi pomeriggi sudaticci da tapis roulant, in palestra, ha incontrato una Gianna Nannini agli esordi che neanche lei conosceva (parliamo della seconda metà degli anni '70), a Genova per un concerto e venutasi a sgranchire e rilassarsi in sauna prima della serata sul palco. E pure la cara Gianna, non propriamente insensibile al gentilsesso, deve aver notato qualcosa in questa ragazzetta dai capelli corvini. Ha attaccato bottone, si è messa a sgambettare insieme a lei, e ha insistito molto affinchè venisse al concerto e fare pure serata insieme dopo.

Non ho capito bene com'è andata a finire, mia madre mi ha buttato lì che non è andata, glissando abbastanza. Peccato, se la fossero almeno data una slinguazzata, certe occasioni non tornano a chiamarti una seconda volta.

Si, la sua unica sfortuna è stata di incontrare quel cialtrone di mio padre. E nessuno per favore s'azzardi a venirmi a dire che l'omosessualità non è genetica.




venerdì 14 novembre 2014

In piscina accadono grandi cose


Di palestre ne ho girate, bendidii e relative assonanze non posso negare di averne visti. Mi sono fatto abbondantissime seghe mentali (e non) rielaborando certe visioni sudaticce tra pesi e canottiere molto ariose, sagome di uomini addosso a una finestra con indosso solo peli, boxer e fantasmini bianchi... Ma quella della piscina è una dimensione tutta sua. Il clima è diverso, i canali sono diversi, la ricettività: ci sono tempi più lunghi, tutto è più laborioso e improbabile, ma i mondi che può schiuderti, in palestra te li sogni. Chissà poi perchè, forse per la cadenza rituale con cui ci si vede negli spogliatoi, sempre tra gli stessi compagni di nuoto, condividendo gli stessi gesti ripetuti come un mantra. O forse per il fatto che si è costantemente tutti insieme quasi tutti nudi e tutti con tutto in moto. Ma è uno spirito sfuggente quanto denso da tagliare col coltello. 

Esattamente una settimana fa, fine dell'allenamento del martedì. Esco come al solito per primo dalla vasca esausto e infreddolito e corro negli spogliatoi. Arrivandoci per primo in genere non trovo nessuno (quelli che fanno corso con me poi arrivano alla spicciolata), se non qualche lupo solitario che fa balneazione libera e per pura combinazione ha finito poco prima di me. Ma stavolta sento parlare quando arrivo alla porta. E non ero affatto preparato a quel che mi sarei trovato davanti.

Uno, avrà la mia età. Alto, forse 1,80. Asciutto, castano, carnagione scura e scolpito come nei migliori porno di ventenni americani (ma senza il segno della mutanda sull'abbronzatura), molto poco peloso. Categoria che solitamente non mi muove un pelo. Ma.

Quasi un po' innervosito dai suoi modi spicci, cerco di osservarlo mentre parla col suo compare, e mi s'accende una lampadina. È un viso noto, ha fatto la mia scuola, sicuro.
Viso tagliente, terribilmente tipico del tamarro ponentino figo genovese, ma di una perfezione ipnotica. Un filo di barba curatissima, capelli corti e il demonio negli occhi. È difficile capacitarsene, è un dio. Nonchè uno che sa l'effetto che fa, e quando te lo fa sono cazzi tuoi. Di quelli che si limitano a guardarti contorcere, studiandoti scientificamente per autovalutarsi con precisione. Una quantità indefinita di tribali tatuati su braccia e gambe, ma spicca un sole maya sul petto, colorato.

L'altro... Eh l'altro io lo conosco, l'amichetto. L'ho già visto molte volte e sono pronto a scommettere che anche lui venisse nella mia scuola, più dell'altro. Più basso, più robusto, più peloso ma totalmente depilato sul torace (un enorme alone grigio segnava i caduti). Viso molto più coi piedi per terra, brufoloso e un po' mascellone, ma scolpito anche lui come si deve. Inevitabilmente, per principio del contrasto, m'è parso abbastanza bruttino al cospetto di Diocolsoletatuato, ma non era poi così male in realtà.

Quel che succede è che, chiacchierando, si buttano sotto la doccia senza costume.
E parte la moviola.

Mi spoglio del tutto anch'io (ovviamente) come se cominciasse il gioco e dovessi sbrigarmi per non essere squalificato, mi fiondo sotto quei tubi appesi al muro stretti stretti senza paratie in questo stanzino claustrofobico che sono le docce (qui si è sempre gomito a gomito). E credo di aver fatto lo smarrone più grande della mia vita, per quanto io me lo dica ogni volta. Gli occhi fanno ping pong, su e giù, la gamba tatuata liscia e abbronzata, la gamba tozza e pelosa dell'amico pallido. Scivolano su quei ventri bagnati statuari, poi s'aggrappano, inesorabilmente, a quei due uccelloni rigonfi e febbrili, e alle loro corone di pelo.

Diocolsoletatuato lo aveva semplicemente perfetto. Lungo ma non enorme, non tozzo. Affusolato e arrotondato talmente a regola d'arte che era pura poesia della forma. L'Amichetto, invece, si. Lui s'è preso la sua vendetta. Una nerchia da castigo. Grosso, nerboruto e arrogante. Dio, l'invidia che ho per quelli che ce l'hanno già grosso da moscio. Le gambe durissime, gonfie e più pelose facevano il resto. Stavo facendo il bagno nel testosterone. 

Un tocco a destra, uno a sinistra, uno sguardo alla visione d'insieme, uno zoom su quei due salsicciotti incredibili. Un incendio. Indemoniato parevo. Ma come potrei apparire, io, in una situazione del genere? Come mi vedrei dall'esterno? Potrei darmi all'eremitaggio solo per l'imbarazzo.

Forse chiacchieravano amabilmente o forse stavano zitti, non avrei mai potuto farci caso. Resto sotto quella doccia una maledetta eternità, fin quando non riacquisto la lucidità di capire che è ora di darci un taglio e riesco ad uscire senza essermi preso delle legnate (traguardo considerevole e tutt'altro che scontato), comincio ad asciugarmi.

Pochi secondi dopo anche l'Amichetto esce dalla doccia, trotterellando l'uccellone nell'aria mentre cammina verso le panchette. S'asciuga e si prepara in tempi record, mentre Diocolsoletatuato continua a godersi la doccia come se avesse scoperto una fonte termale.

Continuo a prepararmi, e di tanto in tanto do una spiata alle docce. Continua a godersi la doccia.
Si massaggia e s'insapona con trasporto, a mo' di ragazzo immagine.

Ormai sono quasi vestito del tutto, e lui si sta ancora godendo la doccia, è nel pieno del suo spettacolo a tempo che deve portare in fondo per non deludere il pubblico pagante.

Poi succede qualcosa che non sono ancora riuscito a spiegarmi del tutto (forse non riesco a credere che si tratti davvero di quella spiegazione). L'amichetto comincia a spronarlo. "Ou hai finito??". Nessuna risposta, continua a docciarsi. 

"OH ANDIAMO??" (Gelosia...? Competizione? Oooh ma non si fa).

Finalmente si trascina agli accappatoi ed esce. Io ormai potevo già essere arrivato a casa, e non so con che sfrontatezza io sia riuscito a dissimulare e trascinare i tempi per restare ancora lì. Si asciuga, si mette dal phon a parete e si toglie l'accappatoio. S'asciuga ancora un po' e si mette gli slip. E quando qualcuno del genere ti fa lo show di mettersi slip davanti a te... è difficile rendere l'idea della frustata in faccia. Provo a fotografargli i piedi col cellulare, ma quel punto devo decisamente andarmene.

Arriviamo ad oggi.

Spalanco la porta dello spogliatoio col friccichìo ner core che stavolta qualcosa si manifesterà, perchè me lo sento come un macigno, e inconsciamente sto cercando fortissimo di non pensarci. 
Tempismo quasi perfetto. Tutto soletto trovo nientemeno che l'Amichetto, e lì per lì mi salta una coronaria (ma non me ne accorgo più di tanto, ero già in botta di adrenalina da prima di entrare. Tutto è fluido). 

Si sta già rivestendo, ma non è troppo tardi per godere di quello che, nonostante la settimana scorsa, sarà davvero lo spettacolo più diabolico che i miei dolenti occhi abbiano mai dovuto sopportare. 
A gambe aperte, seduto sulla panchina, traffica nella borsa per mettersi i calzini con quell'assurdo, stupefacente uccello carnoso che spinge di lato proprio nell'orlo di un paio di boxer consunti, sfibrati grigi da mercato. Esattamente nella zona di vedo non vedo, metà è pacco, metà è puro cazzo in penombra. Ed esattamente la zona dove sbatte a schiocco il mio sguardo con tanto di flash, una telecamera di sicurezza col puntamento laser. Solita storia, non imparerò mai, puttana troia.
Conscio di aver di nuovo perso il controllo, cerco di rimediare rialzando subito si gli occhi (un subito piuttosto relativo)... Per trovarci lui che mi sta fissando. 

- sorriso - *wink, occhiolino
"Ciao"

Cristo di Dio (1). 

Sono ufficialmente in preda alla tachicardia, e realizzo che devo ancora capire molte cose. Sia di come si possa allenare veramente il self-control, sia di quanto serva realmente farlo. Perché mi pare evidente che ci sono volte in cui tradirsi è semplicemente necessario, pena, che tutto resti lettera morta.

Mi infilo in doccia prima di fare lo smarrone del secolo (altro che della mia vita), e mi tolgo il costume come lui e il suo amico (ed io) la scorsa volta. Alla spicciola arrivano gli altri del corso, e scosso come sono riesco a buttare gli occhi solo per vederlo, a torace nudo ma coi jeans e le scarpe da maiale, che si avvicina allo specchio per compiacersi di quel corpo di cui a stento si trovano simili anche nei siti di foto buoni. 

E pensare a come apostrofava Diocolsoletatuato petulandolo di "andiamo?" mentre si compiaceva per tutto lo spogliatoio... Competizione? Oh... ma non si fa.

Finita la doccia trovo il coraggio di buttargli una briciola di marzapane. 
Sono goffo, ma intravedo margini di miglioramento.

"Ma tu hai fatto il Calvino?" dico, ostentando sicurezza con voce un po' troppo piena.

Si gira un po' teso: "No no io no"

"Ah... Ok. E' che mi pareva di averti visto troppo tempo fa ma non ricordo dove"

"Il mio amico dell'altra volta, lui si ha fatto il calvino" Cristo di Dio (2). 


1. Ha presente la scorsa volta. 
E' esistita la scorsa volta.

2. Sa che ho ben presente il suo amico.

Merda.


"bla bla, che corso fai tu? / da bagnino, si si utile, uh quanto costa?"
"ah si ci trovi lavoro d'estate, eh si sai bla bla."

Conclude la vestizione.
'Ciàaoò!' 'Ciao'

Nel frattempo un mio compagno di nuoto inanella una delle sue serie di raffinatezze da manuale: Boxerini corti ma un po' sfondati a spesse righe orizzontali blu e marroni intervallate di bianco. Calzini di cotone grigi che più grigi non si può, uniformissime e senza fronzoli dalla punta all'elastico (anzi non hanno manco quello). Pantaloni di velluto spessi a costine ma dal taglio baggy color crema-grigetto. Camicia azzurro cielo chiaro con inframezzi in Tartan nelle cuciture, interno collo e maniche. Cardigan crema-grigio quasi come i pantaloni, solite scarpe e giacchetto di pelle.

Dies aureo signanda lapillo: 14 febbraio 2012.
E no, non li ho mai più rivisti.

mercoledì 24 settembre 2014

La chiappa imburrata come statement di virilità




Certo che visto da fuori devo essere un vero spasso per l'ego di chi ho davanti... Appagamento & Gratificazione S.p.A - Satisfaction guaranteed.
Oppure un pericolo senza precedenti.

Di sicuro nel mio sguardo c'è qualcosa che decisamente non va. Lo so, ne ho già parlato, è indiscreto, bla bla bla, ma sto raggiungendo il livello di guardia, qualcosa è fuori dal mio controllo e questo non è buono. Chi ha confidenza non si risparmia (molesto, sguardo da stalker o peggio mi da del maniaco, arrossendo  in preda all'imbarazzo supplicandomi di smetterla), ma non gli ho mai dato troppo peso. Dopotutto se non ci si sfotte tra amici, che mondo sarebbe? Un po come la Nutella.
Il problema è quando questo succede mentre non sto facendo niente, o meglio, sto facendo tutto il possibile per dissimulare oppure non mi sembra affatto di manifestare particolari attenzioni.

Premetto che, per quanto un po' autoimposto e ingessato, posso definirmi maschile. Certo, i tamarri da spogliatoio sono un'altra cosa, ma resto comunque anni luce dalla macchietta del femminiello che sospira con gli occhi a cuoricino (o peggio, la checca aggressiva che ti fissa in una posa improbabile, magari strizzandoselo senza pudore). 

Ma nonostante questo sforzo automachista per rendermi appetibile a chi mi appetisce (l'assioma "i gay sono gay perchè attratti da M-A-S-C-H-I, quindi se vuoi attrarre, vedi di essere tale"), deve esserci un bug nel sistema. Non funziona, e sono più i problemi che i vantaggi. Eppure ormai penso di aver capito quando è meglio non guardare troppo: sguardo assente, due pennellate con gli occhi poi bon. Li tieni nel cono di visibilità senza puntarli, così, giusto nel caso di non perdermi qualche chicca (maglietta che si alza, boxer che si intravede o gioca con i piedi nelle infradito) e si evitano i problemi. Nonostate ciò, qualcosa fa suonare più allarmi di una rapina in banca. 

Quando mi va di lusso, che non ricevo botte di "cazzo guardi?", qualcuno sa regalare delle vere gioie. Come l'heteros splendidissimus vanesius, quello che prima ancora che possa sembrare di averti visto, senza nemmeno aver considerato la tua presenza, sa che ha i tuoi occhi. E si stiracchia mostrando la peluria sul pancino, o si gratta le palle al punto giusto, inorgoglito dall'attenzione prestata alle sue gentleman parts da quello che, in fin dei conti, è un collega... O che avendo capito al volo appena prendo il cellulare in mano dissimulando a più non posso che gli sto facendo una foto, si mette in posa plastica, monta il broncio sexy, guarda nell'obiettivo e sorride! SI! MI E' CAPITATO ANCHE QUESTO. L'apice è stato alla Lepre (poi mi si chiede perchè adoro l'estate) - un tizio che tenevo d'occhio da un po', compagno casuale di varie scorribande da dancefloor, molto arrapante, di quegli hipster avvinazzati che girano coi capelli corti e qualche treccina dietro, borsa di stoffa e infradito perenni, deve aver notato quanto gli ho guardato i piedi. Dehors affollato, ero seduto al tavolino in mezzo agli amici, lui in piedi accollato alla sua cavalla di turno. Con estrema nonchalance prende e appoggia il piede, nudo, ornato di braccialetto di spago colorato alla caviglia, sopra al mio tavolo giusto accanto alla mia birra. Per un bel po, giocherellando ogni tanto muovendo le dita. Ora. Immaginatevi la scena. Il minimo che può aspettarsi un qualsiasi sconosciuto che prende e si sfila la ciabatta e appoggia un piede sul tavolo a cui è seduto un gruppo di altri maschi è un pugno in faccia di quelli da manuale del Kumite. E non possiamo dire che questo lui non lo abbia saputo. Lascio perdere a cosa io invece stessi pensando, lascio perdere la faccia che avevo in quel momento e l'erezione mostruosa che mi pulsava in mezzo ai jeans. Ricordo solo di aver delirato qualcosa all'orecchio del mio migliore amico sul fatto che per la prima volta io stessi vivendo seriamente un porno.

Si, quelli che non mi danno l'idea di essere rischiosi da guardare sono decisamente un altro capitolo. Sguardo al viso, l'espressione mi si distende di stupore arrapato e scendo immediatamente verso le gambe. In qualche millisecondo risalgo al bacino e il pacco è mio. E lì, se qualcosa si intravede, la mascella cade oscena, tutto sommato è la fine. 

Ma cos'è che mi tradisce così tanto?

Ipocrita. Ok, la maschera è calata. Si, è brutto da dire, ma il problema pare sia proprio lo sguardo da maniaco. Sguardo che posso immaginare quanto disorienti. Ma resta spaventoso come lo rilevino immediatamente, a volte prevedendolo prima ancora che avvenga. Come cazzo fanno?? Come se riconoscessero istantaneamente il loro stesso sfacciato, spudorato, eterissimo sguardo da cacciatore allupato, ma rivolto a loro. Non minaccioso, eppure così maschile, eppure così rivolto ai maschi, i maschi innamorati come me, ai maschi innamorati come te, quali emozioni, quante bugie.

Quindi scatta il cortocircuito, il meccanismo di sicurezza, il salvavita. Comportamento inusuale ma non per questo meno istintivo: l'esibizione della donna, non più per difendere lei come proprio possedimento dalle insidiose avances di un contendente, ma per difendere se stessi.

Giusto per dare l'idea, to paint a vulgar picture: fine agosto. Ero in spiaggia. Cammino sul bagnasciuga, tutto sommato tranquillo e nemmeno troppo a caccia, mentre noto a una quindicina di metri un bellissimo paio di gambe pelose stese sull'asciugamano, con due splendidi piedonzi che facevano capolino rivolgendomi la pianta (per-fet-ta) dritto in faccia, quasi mi stessero chiamando. Non faccio nemmeno in tempo a risalire quel glorioso paio di gambe fino al pacco nel costume che con un colpo da maestro (senza esagerare, in una frazione di secondo) un copioso spruzzo di crema solare inonda la chiappa della ragazza stesa a fanco - SHPAF! La mano atterra con una schioccata porcosissima, facendo collassare e rimbalzare quel popò di panettone abbronzato (nonchè trasalire la malcapitata), spalmando e imburrando voluttuosamente, col più sordido e spavaldo dei sorrisini. Come a dire: "Capito frocetto? Oh si... proprio così... questa è la mia puttana". Strike. Polverizzato.

Bof. Più sento storie, più non posso negare con malcelato orrore (invidia, stupore e rabbia) che gli efebici e gli effemminati, quelli viscidi e provoloni, anche se spesso bruttini e sgraziati hanno parecchio più successo del sottoscritto. Come se il mio prezioso assioma, il dogma da cui sono sempre partito, sia da rivoltare totalmente: "I gay sono gay perchè attratti dai M-A-S-C-H-I, quindi vedi di essere tale se vuoi attrarre" ...chi? I gay, mio caro. Era quello il soggetto.
Ecco il bug. Al massimo i gay maschili, ma non i maschi non gay. E la nemesi ne è così lampante: "Gli etero coglierebbero potenzialmente ogni buco che respira purchè non sia M-A-S-C-H-I-O. Ergo, è necessario non esserlo".

E questo spiega anche come sia possibile che una buona metà degli suddetti non si faccia grossi problemi a scopare trans/travestiti (a volte anche farsi scopare... puntini puntini puntini... puntini).

Uccidendo senza appello il politically correct - dove sono finiti i veri truzzi incattiviti di una volta? Il maschio maschilista e prevaricatore che disprezzava genuinamente l'effemminato? Quello che se doveva farsi una sega con un amico, o qualcosa di più nelle sperimentazioni della beata adolescenza senza esperienze, senza chat, senza Badoo e senza Cam4, lo avrebbe fatto con l'amichetto uguale a lui, col compagno di marachelle, con quello che lo faceva sentire a suo agio e meno vulnerabile, non con la checca?

Io ci ho provato in tutti i modi, ma non c'è stato verso. Perfino gente che s'è fatta fare delle gran pompe da bulicci patentati, con me non ne ha voluto sapere. E' come se io non fossi credibile - come se con me non avesse senso, come se a fargli una proposta indecente fosse stato un giovane zio o un fratello... Con l'amichetto frocio alla fine si, dai... Poi apprezzo che tu non sia effemminato, ma con te no!

Io finirò al manicomio.

Almeno lui ha avuto il buongusto di calarsi le sue di braghe per ostentare le proprie grazie.
Questo si che l'avrei apprezzato, dopotutto non è la chiappa di chi hai a fianco a renderti più uomo.


mercoledì 26 febbraio 2014

Mano morta, bussa alla porta

..bussa 'l portòn,
sciaff 'l padron!

Sul treno/bus, accalcati e nevrotici, avvinghiati ai pali di sostegno per resistere a curve, frenate e accelerate della guida di città. Una mano è alta che si regge al palo, l'altra spunta dalla tasca dei jeans un po' per riposarsi, un po' a tastare che ci sia ancora il portafoglio. E passa l'amico del giaguaro, magari in tuta, magari in jeans, quello che deve scendere alla prossima e si divincola in preda all'ansia di non riuscire a scendere in tempo ("Permesso... permesso scusi..."), schiacciato dalla folla davanti dietro e tutt'intorno te lo sbatte addosso, appoggiando il pacco proprio dove hai la manina che si riposa. Viceversa, l'imbarazzantissimo momento in cui un'inchiodata ti spinge col pieno pube addosso alle natiche di chi ti ritrovi davanti, specie se una giovane donna in leggings, da cui rischi di prendere pure un ceffone nonostante la "piacevolezza" dell'episodio in sé.

A ballare in un posto affollato e sudaticcio, colmo di gente presa a dimenarsi come non ci fosse un domani o che passa distrattamente col drink in mano per raggiungere gli amici dall'altra parte, sballonzolando a tempo di tunz tunz, cozzando l'uno contro l'altro mano contro fianco, schiena. Natiche. Coscia. Talvolta persino li.

Le vie della disperata ricerca di un contatto possono essere davvero tante. E, come la prima volta che scoprii il cruising agli orinatoi a muro, sono arrivato agli sgoccioli dei miei '20s per scoprire che certe situazioni, quei corto-circuiti tra i due universi che ho cercato tutta la vita come un Donnie Darko di quartiere, esistono. 

Casualità. Contatti che capitano centinaia di volte inavvertitamente, talvolta senza farci neppure caso, come è giusto che sia. 

O no?

261, dove è successo per la prima volta, e al momento forse l'unico posto dove è successo davvero.

Ballavo, ubriaco ma neanche troppo, e per naturale distribuzione casuale mi sono ritrovato a dimenarmi accanto a un tizio d'un paio d'anni in meno di me, uno di quei furbetti coi capelli chiari arruffati, tshirt svolazzante e jeans strappati ciondolanti a vita bassa. Quelli poi te li trovi a ronzare in giro per la città su un vespino restaurato di quarant'anni fa e l'Eastpak sulle spalle. Ci scontro con la mano a metà tra chiappa e coscia, niente di che. Certo, non m'è spiaciuto ma manco gli ho dato troppo peso, non l'ho fatto apposta. Però non mi sono spostato
Tunza tunza parapatunza, balla per me balla balla tutta la notte sei bella, la mano dove non avevo il drink resta giù ad altezza vita. Le sue chiappe si avvicinano di nuovo - ma meno scontrosamente e molto più pigre nel riallontanarsi. Non sono sicuro di aver capito tutto in quella frazione di secondo , ma è scattata la lucidità di giocarmela. Tenere la mano bassa era solo il pre-test, passato il quale era il caso di rispondere al feedback. Quindi, cautamente (e guardando molto intensamente in tutt'altra direzione - cosa importantissima), mi sono avvicinato io strusciando leggermente il dorso della mano sui suoi jeans, lasciandomi trascinare dalla musica e senza fare movimento alcuno che potesse sembrare volontario ma totalmente, accuratamente casuale.

Da lì in poi ogni incontro coi suoi jeans si faceva sempre più frequente, pressato, strofinato, appoggiato, fino al momento magico in cui, girandosi, mi offre un pieno abbraccio del suo pacco barzottissimo schiacciandomelo sul polso. Ero sull'orlo di un infarto. Anche quando poco dopo è uscito dal locale e mi sono precipitato a seguirlo con una sigaretta in mano nella romanticissima illusione di attaccarci bottone, e l'ho visto raggiungere la sua ragazza e sbaciucchiarsela. Baci e abbracci, mi scorge e mi lancia un ultimo strano sguardo misto di sorpresa, imbarazzo e sfida.

Non ho mai più tenuto le mani al di sopra la linea di cintura quando sono stato a ballare.

E' successo ancora qualche volta. Tre o quattro stranieri/turisti/erasmus in preda ai fumi di fiumi di alcol, un tizio incamiciato che ancora me lo sogno la notte (ma che si è concesso poco) e un paio di vecchie volpi di mia conoscenza, tutt'altro che etero, che devono aver mangiato la foglia. Ma è stato bello lo stesso.

Non dimenticherò mai la volta in cui uno dei suddetti volponi (qualcosa di inenarrabile, un armadio di manzo a 4 ante con tshirt attillata e jeans corti attillati ancora di più) m'ha investito appena entrato nel locale guardandomi negli occhi. Cammina a falcate così grosse che in 4 passi attraversa la stanza, prendendo perfettamente la mira. Pochi secondi e sbam - mi schiaffa in piena mano un pacco mostruoso, vivo, gonfio di aspettative per la serata. Aspettative deluse a quanto pare: arrivato solo, è andato via solo... ma si è lasciato un po' seguire per i vicoli, girandosi compiaciuto a controllare che io non mollassi la preda, salvo poi defilarsi in prossimità di casa. Peccato.

Eppure, miseria ladra, è un trucco vecchio di secoli.

mercoledì 23 ottobre 2013

Perbenismo da spogliatoio

Ok, lo ammetto: mi sono iscritto in questa palestra per lui. Per carità, dovevo iscrivermi comunque, ma la scelta del posto è ricaduta qui (nonostante altri migliori, più vicini e a minor prezzo) perchè è un prurito che mi dovevo togliere. Da anni.

Pallido, magrino e imberbe ma viso tagliente e occhi da furbetto che decisamente no, non me la raccontano giusta, avrà un anno o due in meno di me ma già da parecchio prima di me scorrazzava in moto con annessa tuta fetish. Quando in borghese, invece, è il truzzo raffazzonato da manuale: jeans strettissimi che comunque non riempiva, scarpe non male con annessi tamarrissimi calzini bianchi, capello ingellato all'inverosimile e sorriso sfuggente e storto tutt'altro che 'mentadent'. Aggiungiamo che ha fatto per qualche anno il benzinaio e il quadro è completo - la mano sa istintivamente dove andare. Veramente ma veramente stupido, ignorante intronato peggio di una mela [ndr: sul suo Facebook ha pure messo mi piace alla pagina di Gigi D'Alessio] - ma non me frega un cazzo. Anzi.

L'ho già visto mano nella mano con la fidanzatuccia al centro commerciale, ma l'ho pure incontrato a sculettare incerto in serate gay, e le impressioni perentorie di qualche mio amico ("Quello? Ma se è inequivocabilmente gay, e fa pure schifo!") mi hanno incoraggiato.

Sgombriamo però il campo da qualsiasi aspettativa: in palestra l'ho incontrato il primo giorno, mentre io entravo lui usciva. Basta, mai più rivisto, quasi un segno del destino. Non so se ha deciso di far orari completamente diversi per non rischiare di incrociarmi neanche per sbaglio (probabile, visto che il mio celebre sguardo ultra-discreto l'ha già sondato parecchie volte) o se è stata la sua ultima volta li dentro. Beh, amen - Il minimo che potessi fare era rassegnarmi e guardarmi intorno. Dopotutto sono a Pegli: la capitale di ponente del fighetto, niente di meno, l'El Dorado dei bravi ragazzi figli di papà e di mammá, freschi curati e sani nel più piccolo e insignificante dettaglio, isola felice fuori dalla suburra del vizio e del degrado. Proprio quello che son sicuro loro guardino con malcelato desiderio.

Ma nonostante la delusione c'è di che consolarsi.

Va bene, provo a fare un po' di allenamento in questo salotto di 20mq stipato di gente gomito a gomito, 5/6 attrezzi in croce caduti in disgrazia, manubri rugginosi, tapis roulant che vanno a scatti (da grippare il cervello) e non un fottuto angolo dove fare addominali. A volte mi chiedo come possa esserci a Pegli una palestra del genere ed essere pure piena.

Peccato (strano) per gli spogliatoi (leggi: un bagno più piccolo di quello di casa mia con tre docce affiancate e rigorosamente chiuse con plexiglass zigrinato e due panche traballanti ad angolo che tappano una finestra che avrebbe tanto bisogno di restare aperta). Ma va bene, stringiamo i denti. Anzi spogliatoio piccolo, vicinanza forzata, mi dico. Certo. Inizialmente (primi di settembre) gente non ce n'era moltissima e nonostante la piccolezza era quasi impossibile incrociare qualcuno che andasse a cambiarsi nello stesso momento in cui andavo io. Poi i ritmi si sono rinvigoriti e la palestra affollata, inevitabilmente qualcuno ho cominciato a beccarlo.

Prima puntata: il grande amico di lui, decisamente non male, molto più armonioso e proporzionato nonostante le sopracciglia un po' troppo rifatte. Tonico e compatto, mi ha letteralmente fatto impazzire per i pantaloni della tuta verde mimetico che indossa continuamente, con gli elastici grossi alle caviglie.
Comincia a spogliarsi, rapido e pratico, fino a rimanere in boxer (per pochissimo tempo). Si fionda in doccia e con un gesto da maestro riesce a toglierseli da dietro la porticina in plexiglass e a posarli sulla panca senza mostrare un centimetro di pelo (al) pub(bl)ico. Per fortuna il vetro di plexiglass lascia intuire molte cose mentre si lava, specialmente di profilo, ma non fa che accrescere l'acquolina di vedere qualcosa in più. Sento l'acqua chiudersi, e lo aspetto al varco: si apre di qualche centimetro la porticina, allunga il braccio fino all'accappatoio e se lo tira dentro la doccia cominciando ad asciugarsi chiuso dentro. (...) Esce, bello rinfrescato e fiducioso, e dopo essersi asciugato bene dandomi rigorosamente le spalle, s'infila le mutande pulite con l'accappatoio addosso, solo allora lo lascia cadere per finire di rivestirsi, chiudere la borsa "ciao..." biascicato di circostanza che più di circostanza non si può, e via. (Il copione si ripete ciclicamente).

Seconda puntata: Popeye. Mi alleno tutta la sera in mezzo a ragazzetti loquaci che bene o male si conoscono di vista, tra cui questo diciotto / diciannovenne che pare avulso dal mondo di lustrini e paillettes della capitale d'avorio. Intanto non posso non notare che, poretto, gli manca un molare. Calmissimo, pasoliniano - un ritratto della virilità placida: capelli rasati a spazzola senza crestino nè fronzoli, scarpe letteralmente da ginnastica (quelle bianche da dieci euro del Decathlon), pantaloncini e canotta blu scuro slavati ma puliti e stirati da mamma chioccia. Pelle scura, occhi castanissimi e piccoli, davvero davvero bello. Allenamento molto particolare: solo le braccia, e anche poco. Ovviamente questo non passa inosservato ai suoi 'commilitoni' che immediatamente lo interrogano a riguardo. Ebbene... E' atleta agonista di Braccio di Ferro. Si! Esistono! Quando l'ho sentito m'è scoppiata una tenerezza dentro che l'avrei coccolato per un'ora facendogli il solletico e sfinirlo di baci. Arriva il momento della doccia anche per il Popeye di mammà: splendido corpo tonico, snello e olivastro, pudicizia estrema: mutande che scendono solo da dentro la doccia per rientrare pulite solo da dentro l'accappatoio.

Terza puntata: manco i colleghi. Arrivo a palestra semi deserta ed entro nello spogliatoio, e mi becco sto tizio palesemente frocissimo di tre o quattro anni in meno di me. Ho quasi un sussulto, mi si accende una lampadina con tanto di sting! dello starter dei neon.
Nulla di paragonabile a certi pezzi da novanta etero-o-presunti-tali che si aggirano li, ma non ho potuto che abbandonarmi a un sommo DAI CHE CI SIAMO CAZZO.
Tutto sommato carino - fisico asciutto, alto, mediamente pelosetto nelle gambe, forse un po' troppo pallido ma ci si passa sopra. Completamente nudo con l'accappatoio aperto spalcancato che s'asciuga appoggiato al muro sotto il phon a gambe aperte Rock 'n' Roll (AHHH si baby continua così). In tempo zero chiude la vista di tutte le sue grazie che non faccio nemmeno in tempo a scorgere, "ciao", e passa in modalità stealth: rigorosamente di spalle, finisce l'asciugatura in dieci secondi e s'infila le mutande sotto l'accappatoio, scena già vista. Ed eravamo soli. Che tristezza infinita. L'ho rivisto un altro paio di volte insieme a mister sopracciglia con tuta mimetica: sono molto amici, e perfino un cammello si accorgerebbe che ne è innamorato fradicio.

Quarta (ed ultima, ad ora) puntata: cameratismo. Questa volta mentre mi alleno ho intorno principalmente due tizi, semplicemente splendidi, uno tracagnotto che pur non essendo vestito attillato riesce a riempire con le sue grazie tutti i pantaloncini e la canotta fino a farli tracimare (e con essi anche le mie parti basse, dato che avevo perso la facoltà di distogliere lo sguardo). Biondo, sudaticcio e determinato. Poi il suo fedele compare: un tizio magrolino ma definito e spalle larghe - splendido tatuaggio colorato sul braccio dal petto fino al polso, capelli neri, naso un po' sgraziato ma sottile, occhi liquidi marrone scuro, attillato e caviglia fina quanto basta. Più, un emerito, incredibile, sconfinato imbecille - il proverbiale coglione scemo del villaggio, quello a 18 carati, la mezza sega per eccellenza, brutto e brufoloso, viso porcino pur essendo magro da anoressia, guance scavate, bocca da idiota e faccia da schiaffi, che fa il galletto del pollaio. Sempre pronto a commentare qualsiasi minchiata detta e ragazza che transita. L'imbecille e i due carini non si conoscevano, tanto quanto io e loro.

Sta finendo l'allenamento, ed entrano due tipe, due classiche incontrovertibili chiappastrettissime fighette da palestra di quartiere di fighetti. Mormorii vari ma grazie al cielo son talmente fighette (e fighetti loro) che non s'azzardano troppo. Saliamo allo spogliatoio tutti e 4 appassionatamente: io, i due carini e l'idiota di merda.

Non è stato nemmeno necessario varcare la porta dello spogliatoio che l'esordio dell'imbecille deflagra come un petardo sparato nel culo: "Eeee!! É inutile dai cazzo tanto stiamo pensando tutti alla stessa cosa!!! MA AVETE VISTO CHE DUE FIGHEE PORCODDAO CAZZO NN CI SI CREDE BELINNNN" (la mia faccia. Era da immortalare la mia faccia). E io che credevo avessimo toccato il fondo.

"òh comunque piacere eh io sono Enrico" porge la mano, non aspettava altro. La tipica rottura del ghiaccio, il merdone s'è proprio preso l'occasione per attaccare bottone, se l'è costruita avidamente. Rovista un paio di zolle della banalità e ZAC! Piacere, sono Enrico.

Pure uno dei due carini si chiama Enrico, l'altro boh. Intanto mi giro porgendo la mano anch'io, imbarazzato e già scoglionato di dover prendere parte a quest'orrenda interazione, questo pessimo inizio di convenevoli,  questa...  - wooooooosh. Io non esisto.

Ero accanto a loro, gomito a gomito, che mi stavo per togliere i pantaloncini. Si sono stretti la mano scavalcandomi perchè ero in mezzo. Si sono già girati dall'altra parte. Non ero contemplato. Non ero uno di loro. Non ero lí. Il discorso prosegue come se niente fosse.

VAFFANCULO non ho mai visto una cosa del genere (e ne ho girate di palestre). Non vedo l'ora che scada l'abbonamento trimestrale.

Addio ragazzetti vestiti fighi perfino in palestra, timide contaminazioni tra la voglia di strafare ed il senso del dovere, della decenza, della buona creanza. E con la caviglia fina, che bisogna ammettere, avete per davvero.


mercoledì 28 agosto 2013

Sogno di una notte di mezza estate, II

Sto camminando per strada nel centro di Roma (vai a sapere perchè) in pausa pranzo, cerco qualcuno dei miei amici per mangiare insieme. Giornata soleggiata e caotica ma sono preso bene, mi faccio raggiungere da Christian, fratello minore di un tizio del mio quartiere, che nel frattempo è proprio cresciuto, quasi troppo, maschio in piena poco oltre i 20anni, faccia segnata e denti un po' da marcione ma dannatamente, terribilmente sessuale. Barba mezza incolta e abbigliamento sgualcito.

Mi saluta su di giri come al solito ma a sto giro anche lui è preso benissimo, camminiamo per via dei Fori Imperiali e intanto messaggio con Jonathan, amico di vecchia data di entrambi ma più introverso. "Guarda, aah questa èrrRoma!" mi dice esaltato indicandomi le macchine che sfrecciano, la gente che passa parla e ride, gli alberi e il sole, mi mette un braccio attorno alla spalla e cammina strettissimo a me quasi facendomi barcollare. Mi stringe, mi tocca e ride, sa che sono gay e per lui è uno spasso, barcolliamo sempre di più scherzando come due scemi, mi abbraccia mi lecca il collo ridendo poi la guancia, comincia a baciarmi forte sulla faccia divertendosi come un pazzo. Gli faccio resistenza ma fisicamente è quasi impossibile, comincio a urlargli "Piantala Chri guarda che cel'ho barzotto" ma niente da fare, è inarrestabile.

Come due ubriachi entriamo e arriviamo nella stanza dove c'è Jonathan, che ci aspettava seduto a una specie di vecchio scribacchino di legno scuro tipo tavolo da studio da vecchia biblioteca  - bofonchia qualcosa tipo "Oh finalmente ce l'avete fatta" sguardo stralunato e di sufficienza mezza scherzosa. Io non so come, con un pennello da verniciatore in mano, parlo di dove potremmo andare a mangiare e comincio a spolverargli la scrivania tirando via un dito di sporcizia e sabbietta, ma manco un istante e ci si siede sopra Christian a gambe aperte, senza pantaloni, con un paio di slip di cotone grigio chiaro consunti e castigatissimi che fasciano un cazzo che sta esplodendo, con le palle mezze fuori dell'elastico ai lati - qualcosa di assurdo, uno spettacolo da mani nei capelli. Io sgrano gli occhi, sempre mezzo in botta dalla ridarella, e dico a Jonathan "Ecco vedi? Vedi? Quessssto si... " allungo le mani sempre spennellando la scrivania in mezzo alle gambe di Christian avvicinandomi a quel popò di bendiddio, mentre Christian aspettava divertito e con la faccia in estasi -

Jonathan si alza di scatto e sbotta urlando "EDDAI! ENNO'! RAGAZZI, NO!"

 Mi sveglio.