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venerdì 12 luglio 2013

Haiku

Voglia di cazzo che sta travalicando ogni limite possibile.

Sono allo sbando, trasudo da ogni maledetto poro. La gente sembra leggermi nel pensiero, quando cammino i tipi che incrocio si scostano e cambiano strada (...). Devo avere delle idrovore al posto degli occhi, roba che quando ti puntano senti il rumore del risucchio prima ancora di incrociarne lo sguardo. E' umiliante.

Ciò nonostante, è paradossale, ma saltano in aria tutti i clichè. In tempo di guerra mi son proprio rotto il cazzo delle trincee, non ne posso più di accontentarmi - delle frocie pompinare, dei casi umani psicotici e sghembi da cui riesco comunque a farmi arrapare, dei Baffometti stagionati ma bentenuti che trovi a battere alle mura.

Voglio fare una pompa, dura, a un maledetto stronzo di quartiere - trugno, malpalestrato e villoso, con la tuta e i calzini bene in vista fuori dalle scarpe da ginnastica, odoroso e cacirro e con le orecchie piene di anelli. E' il mio turno, cazzo.

Non può e non deve succedere a tutti tranne che al povero stronzo che sono.


mercoledì 29 febbraio 2012

Sogno di una notte di fine estate

Del 14 agosto per la precisione. Mi trovo in centro, e per chi conosce Genova, sto girando dalle parti del Museo del Mare. E' mattino presto, dopo piena nottata di gozzoviglia, e sto girando disperato che non riesco più a trovare il motorino, non ricordo dove ho parcheggiato e mi tocca passare per retrovie poco raccomandabili della zona portuale. Salgo una scala di cemento incrostata di piscio e sacchetti di spazzatura e ci trovo, accasciato, un tizio che conosco. Fabio *****, del mio quartiere, anzi, della mia via, coetaneo o giù di lì, forse un anno in meno.

E Fabio era messo veramente male. Esausto, zoppicante e insanguinato ovunque, perfino sulle scarpe. Penso: "o è stato malmenato da un pusher, o sono siringhe usate male". Mi vede, e per un istante esita a capire. Poi mi riconosce, e negli occhi, in un lampo, gli leggo "Portami via di qui. Portami a casa, tu sai dov'è, ti prego". Esattamente come gli leggo che, vuoi per orgoglio, vuoi perchè non c'è mai stata confidenza, per quanto disperatamente possa aver bisogno non mi chiederebbe mai nulla. Così mi sforzo e ingoio la diffidenza (che per noi genovesi, si sa, è dura) e gli chiedo cosa gli sia successo, "ti serve aiuto, stai bene? Vuoi che ti porti a casa?". Fa solo uno stanchissimo cenno di assenso ma pieno di riconoscenza e mi porge la mano per tirarsi su (si, proprio come nei film allo sciroppo di glucosio). E come da copione, la fortuna vuole che avessi il secondo casco nel sottosella.

Trovo il motorino e comincia il viaggio della disperazione. Una successione infinita di insidie come solo nei sogni può succedere (perdo il cellulare, non riesco ad aprire il sottosella, il motorino non si mette in moto). La traversata è faticosissima, l'asfalto pieno di buche e rattoppi (questa, cosa piuttosto aderente alla realtà) e cerco di non pensare alla mia quasi certezza che possa essere sieropositivo mentre mi stringe, insanguinato, nelle curve.

Lui era il mio dio. Tipico bulletto di quartiere (e non parlo di un quartiere qualsiasi, diciamo il quartiere per eccellenza dell'edilizia popolare). Terribilmenteficoeforte, il centro gravitazionale dei truzzetti del circondario, anche se sempre gentile nonostante mi abbia sempre snobbato per ovvi motivi. Forse la cosa che più mi attizzava di lui era questa capacità di essere genuinamente uno stramaledetto tamarro restando una persona civile.

Lo lascio nella mia via, due discorsi su dove abiti tu, dove abito io, ci vediamo si si.
Quel che poi è accade è che tutto torna più o meno alla normalità, e io con essa ai miei giri finocchi - posti, amici, chat.

Nel frattempo, con tutto il distacco e la gradualità del caso (e che Genova impone) il saluto si fa più sincero, quando ci si incontra si scambiano due parole e ci si intrattiene pure un po' (che lusso), a volte ci scappa anche la serata da quartiere appollaiati tra i palazzi a far niente e parlare di niente, quei comizi che tanto ho sognato e invidiato nella mia infanzia. Insomma, iniziamo a frequentarci. Devo averla fatta grossa a recuperarlo quella volta, e ne sono contento. Infinite serate da soli a parlare di musica, amici in comune e un milione di fumate insieme, a pieni polmoni di quella nebbia tra onirico e psicotropo. Semplicemente stupefacente.

Non gli ho mai chiesto cosa fosse successo quella notte, avvertivo che fosse una sorta di tabù e tale è rimasto. Infondo non mi interessava granché e non avevo la minima intenzione di rompere un simile inaspettato equilibrio. Porta ancora addosso i segni di quella nottata: è sbattuto, graffi ed ematomi un po' ovunque e zoppica. Però si percepisce il miglioramento in corso.

Un sabato sera al Virgo, però (credo, il sogno sfuma ogni contorno) ci ritrovo Lui. Perfettamente a suo agio, con una manciata di conoscenti (insignificanti rispetto alle sue amicizie di quartiere - cosa che non mi sorprende affatto). Ci incontriamo guardandoci un po' disorientati. Cenno di saluto distratto e imbarazzato, poi inevitabilmente si attacca bottone, e s'accavallano momenti di gelo un po' impacciato tipico da "sono stato beccato" e piano piano, dialoghi con la solita e splendida luce negli occhi di quelle serate in camera a fumare. Sorpresa e confusione sono un vortice, odori che si mescolano, caldo e freddo, scazzo e rivelazione.

La serata è solo un lampo, e la settimana ricomincia. Ci vuole un po' per assorbire il colpo, i giorni successivi vedono una brusca battuta d'arresto del nostro assurdo, perverso idillio.

Ma una sera poco dopo il tramonto, come tra amichetti dodicenni, si ferma sotto la mia finestra a scrutare se ci sono, aspettandomi. Appena lo vedo apro e mi affaccio, è sorridente, alienato e con un misto di rassegnazione e eccitazione negli occhi. Qualcosa è scattato, come fosse impazzito, come se avesse rivisto tutto in un film - quegli anni trascorsi abitando a pochi metri crescendo insieme ma socialmente inscatolati e separati, le potenzialità anziché i rischi, come se fosse qualcosa di troppo, troppo bello per essere vero. O forse semplicemente mi ha visto con occhi diversi. Le carte questa volta si scoprono e la corte che mi fa è sfrenata, arresa, incomprensibile.

Cedo.


Mi sono trascinato addosso sto sogno per tutto il giorno crogiolandomici dentro come la coperta calda quando suona la sveglia ma no, non ti vuoi proprio alzare.

Fabio, esisti?